Uno studio condotto da scienziati giapponesi ha creato con successo topi geneticamente modificati in grado di produrre il proprio “Ozempic”. Questo potrebbe aprire la strada a trattamenti senza iniezioni per il diabete di tipo 2 e l’obesità in futuro.
Un ormone con un enorme potenziale
Il GLP-1 (glucagon-like peptide-1) aiuta a regolare gli zuccheri nel sangue e l’appetito. Tuttavia, negli esseri umani si rompe in meno di due minuti. Per questo motivo, gli scienziati hanno utilizzato analoghi sintetici come il semaglutide (Ozempic) per trattare il diabete di tipo 2 e l’obesità imitando gli effetti del GLP-1.
Nel complesso, questi farmaci sono molto efficaci. Infatti, secondo i dati degli studi clinici, i consumatori possono perdere fino al 15% del loro peso corporeo.
I topi creano il loro “Ozempic
Ora, i ricercatori dell’Università di Osaka sono andati oltre. In particolare, hanno ingegnerizzato dei topi per produrre GLP-1 direttamente dalle cellule del fegato.
Per farlo, hanno iniettato nel fegato dei topi delle nanoparticelle lipidiche contenenti strumenti di editing genetico per produrre exenatide, un GLP-1.
Con il tempo, questi strumenti hanno reimpostato le cellule del fegato in modo che secernessero GLP-1 in modo naturale. Di conseguenza, i topi non avevano più bisogno di iniezioni giornaliere. Inoltre, l’effetto è durato per mesi dopo un singolo trattamento.
“Questo studio suggerisce che l’editing del genoma potrebbe essere utilizzato per creare trattamenti duraturi per malattie complesse, riducendo potenzialmente la necessità di ricorrere a farmaci frequenti”, hanno dichiarato i ricercatori nel loro articolo pubblicato su Communications Medicine.
Cambiamenti nei topi modificati a livello genomico
Nel complesso, i risultati sono stati drammatici. I topi obesi sottoposti a una dieta ipercalorica mangiavano meno e ingrassavano meno.
Inoltre, la glicemia si è stabilizzata. La loro sensibilità all’insulina è migliorata e in generale hanno consumato meno cibo. Al contrario, i topi non trattati continuavano ad aumentare di peso e mostravano segni di insulino-resistenza.
Inoltre, i ricercatori hanno rilevato l’exenatide nel sangue dei topi fino a 28 settimane, circa un terzo della durata di vita di un topo. La longevità suggerisce quindi che questa terapia potrebbe diventare una soluzione a lungo termine e non solo una soluzione temporanea.
Dai topi agli studi sull’uomo
Nonostante l’entusiasmo, gli esperti invitano alla cautela, poiché tradurre i successi dai topi agli esseri umani è notoriamente difficile.
Sebbene la terapia genica offra un potenziale reale, il complesso metabolismo umano la rende impegnativa. Per questo motivo, gli scienziati devono garantire la sicurezza a lungo termine del trattamento, soprattutto nel caso di modifiche permanenti al genoma.
Inoltre, rimangono dei rischi. Le modifiche genetiche involontarie potrebbero scatenare risposte immunitarie o influenzare altri organi. Per questo motivo, sono necessari ulteriori test prima di poter iniziare una sperimentazione sull’uomo.
Implicazioni per i trattamenti futuri
Tuttavia, le implicazioni sono significative. Questo approccio sui topi potrebbe eliminare la necessità di iniezioni settimanali o di costose ricariche di farmaci.
Potrebbe anche ampliare l’accesso in contesti con scarse risorse, dove la somministrazione costante di farmaci rappresenta una sfida. La terapia genica sta avanzando rapidamente e i disturbi metabolici potrebbero essere la prossima frontiera.
È importante notare che questa terapia potrebbe integrare i trattamenti esistenti. Non sostituirà ancora gli analoghi del GLP-1, ma un giorno potrebbe offrire un’alternativa permanente. Dato che i tassi di obesità continuano ad aumentare a livello globale, nuovi strumenti come questo testato sui topi sono urgentemente necessari.
Conclusione
Modificando il genoma delle cellule epatiche, gli scienziati hanno creato topi che producono il proprio GLP-1 e combattono l’obesità in modo naturale. Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche, questo sviluppo potrebbe cambiare il modo di trattare le malattie metaboliche in futuro.
Foto di Ricky Kharawala su Unsplash